top of page
Foto 9.jpg

Le regine dell'inganno:

panoramica sulle orchidee selvatiche
in Italia

di Luigi Torino

NATURA E CONSERVAZIONE

29/10/2023

Le regine dell'inganno:
panoramica sulle
orchidee selvatiche in Italia

Luigi Torino

  • icon-website-0.jpg
  • Instagram
piccola.jpg

Le orchidee spontanee:
esotiche, ma non troppo

Le orchidee (famiglia Orchidaceae) sono piante erbacee perenni, la maggior parte delle quali è originaria delle zone tropicali o sub-tropicali; il primo pensiero che si forma alla parola “orchidea” è certamente quello di una variopinta pianta in vaso venduta in qualche mercatino/centro commerciale. Luoghi come il Sud-Est Asiatico o le foreste amazzoniche sono un vero e proprio hotspot di biodiversità orchidologica, ma è comunque notevole che il 15% circa di esse cresca spontaneamente nelle zone temperate/fredde. Queste piante, nel corso della loro evoluzione, sono state capaci di sviluppare straordinari adattamenti per sopravvivere e riprodursi; il più noto è probabilmente l’inganno sessuale per attrarre gli impollinatori.

Foto 1.jpg

Neotinea tridentata visitata da un’ape della famiglia Halictidae nel Parco Nazionale del Pollino. (Luigi Torino)

L'infinito dibattito sulla classificazione

La loro tassonomia, cioè l’insieme di criteri con cui vengono raggruppate, è particolarmente complicata. Le orchidee sono piante monocotiledoni dell'ordine Asparagales; lo schema tassonomico generalmente riconosciuto per le orchidee è: Piante vascolari (Phylum Tracheophyta) ➡️ Piante con fiore (Subphylum Angiospermae) ➡️ Monocotiledoni (Classe Liliopsida) ➡️ Ordine Asparagales ➡️ Famiglia Orchidaceae

In Italia sono presenti tre sottofamiglie: Orchidoideae, Epidendroideae ed infine Cypripedioideae (con l’unica specie Cypripedium calceolus). Scendendo ancora più nello specifico, a livello di genere, non vi è una visione unanime sulla divisione in specie, né certe specie o sottospecie vengono riconosciute ovunque. Questo scenario complicato e mutevole si riscontra sia a livello italiano che a livello europeo; le orchidee della zona mediterranea, specialmente il genere Ophrys, sono tra le più studiate ed attenzionate al mondo.

Alcuni autori tendono a raggruppare tantissime sottospecie/forme sotto un unico nome (addirittura arrivando ad affermare che esistono solo 5 o 6 specie del genere Ophrys in tutta Europa!), altri invece considerano tutte le differenze tra popolazioni separate come un buon criterio per descrivere nuove specie e sottospecie, arrivando a più di 600 specie europee.
 

La morfologia dei fiori:
simmetria al potere

La prima cosa che risalta nei nostri incontri con le orchidee è senza dubbio il loro fiore: fanno capolino dall’erba primaverile con le loro complicate strutture e i loro sgargianti colori. Nonostante la varietà delle specie italiane, sono sempre riconoscibili determinate parti fiorali a cui sono stati attribuiti nomi specifici.

Foto 2.jpg

Schema florale di Ophrys tenthredinifera, con le parti principali in evidenza. (Luigi Torino)

I fiori vengono detti zigomorfi, ossia simmetrici rispetto ad un piano perpendicolare. Presentano un perianzio (la parte non riproduttiva del fiore, più esterna) formato da sei tepali: tre foglie modificate dette "sepali" (due laterali, uno mediano) e disposti in modo alternato ad essi tre “petali”, due laterali e uno posto in basso. Quest’ultimo è definito labello, è fortemente modificato rispetto agli altri due nonché molto appariscente, avendo spesso dei disegni con superficie glabra che prendono il nome di “macula”. Il labello può presentare inoltre una piccola appendice terminale detta “apicolo”.

L’apparato riproduttore, collocato sopra il labello, è costituito da organi maschili e femminili saldati insieme ed è detto ginostemio; nella sua parte terminale vengono prodotte le masse polliniche.

Il polline delle orchidee nostrane non risulta volatile come quello dei fiori a cui siamo abituati ma è raggruppato in unità coerenti, appunto le masse polliniche, che tramite un elemento appiccicoso noto come “viscidio” rimangono attaccate agli insetti impollinatori.

La parte concava sotto il ginostemio è detta cavità stigmatica e in molte specie presenta due macchie uguali ed opposte dette “pseudo-occhi”; la zona tra la cavità stigmatica e la macula (disegno del labello) prende il nome di “campo basale”. In molte specie la parte posteriore del labello forma un prolungamento detto “sperone” che può andare anche oltre l’ovario, la parte femminile che collega il fiore allo stelo. Infine, ritroviamo le “brattee”, foglie modificate e spesso lanceolate con funzione protettiva nei confronti dei boccioli.

La biologia nel corso delle stagioni:
rosette basali e simbiosi fungine

Le orchidee italiane sono quasi tutte specie prettamente terrestri e si formano a partire da apparati sotterranei noti come rizotuberi. Nei generi Ophrys e Orchis i rizotuberi sono due, interi e tondeggianti (Orchis deriva infatti dal termine greco “testicolo”). Negli altri generi presentano svariate forme e dimensioni, ad esempio in Dactylorhiza hanno una forma irregolare con profonde divisioni mentre in Epipactis, Platanthera, Spiranthes sono allungati o filamentosi. Questi organi sono collegati a radichette e radici filiformi, la loro funzione è di accrescimento e resistenza in quanto contengono sostanze di riserva e persistono anche durante il periodo di riposo vegetativo (in cui la parte aerea della pianta scompare). Tale comportamento stagionale unito alla loro attitudine terrestre permette di farle rientrare nella categoria delle piante geofite: piante erbacee perenni con organi sotterranei (i rizotuberi, appunto) che perdono la porzione epigea (visibile oltre il suolo, cioè foglie, stelo e fiori) nella stagione sfavorevole. Non rientrano in questa classificazione specie che vegetano in ambienti paludosi e di torbiera come Liparis loeselii, Hammarbya paludosa e Spiranthes aestivalis (epifite).

Foto 3.jpg

Rizotubero e radici di barlia (Himantoglossum robertianum). (Luigi Torino)

La diffusione avviene per mezzo dei semi, tra i più piccoli e leggeri del mondo vegetale, prodotti in altissimo numero nelle capsule che si formano dopo l’impollinazione dei fiori. Affinchè i semi attecchiscano non basta che cadano in una zona con le giuste umidità, pH del terreno, esposizione solare e temperature medie stagionali: serve qualcuno che produca il nutrimento necessario per la nuova pianta, dato che i semi sono sprovvisti di qualsiasi tipo di riserva! In questo step vengono in aiuto dei funghi microscopici, solitamente specie-specifici, che vanno ad insinuarsi all’interno dei semi in un complicato meccanismo di simbiosi chiamato micorriza. Per alcune specie boschive la micorriza è obbligata in quanto non sono in grado di fare la fotosintesi, non avendo clorofilla e vivendo in un ambiente con poca luce e nutrimento; tra queste vi sono piante dei generi Limodorum, Neottia, Corallorhiza ed Epipogium. La simbiosi micorrizica passa attraverso vari stadi di colonizzazione dei semi da parte dei funghi; questo meccanismo lento e delicato impiega tantissimi anni, dai 3 ai 10 per arrivare ad ottenere la prima fogliolina e ulteriori 2-5 anni per arrivare alla fioritura. Possono quindi passare fino a 15 anni prima di ottenere una pianta fiorita da un seme. Va da se che durante questo lasso di tempo qualsiasi intervento antropico diretto o indiretto può essere estremamente impattante sullo sviluppo e sulla conservazione delle popolazioni di Orchidaceae.

Le orchidee possono essere distinte facilmente dalle piante “comuni” già nella loro forma di rosetta basale (ossia le foglie inferiori che compaiono dal terreno, disposte solitamente a raggiera). La maggior parte di esse ha foglie con nervature parallele (parallelinervie) di forma allungata; tra tutte le orchidee italiane fa eccezione unicamente la piccola Goodyera repens con le sue foglie dal tipico disegno reticolato. Tra le più riconoscibili impossibile non citare Orchis italica dalle foglie ondulate e macchiate di viola, Neotinea maculata con le sue macchie disposte in linee parallele, Himantoglossum robertianum con il suo apparire precoce e imponente, i complessi disegni di Goodyera repens e la rosetta “parallela” di Spiranthes spiralis. In quest’ultima specie durante la fioritura si rinvengono sia lo stelo con fiori che parte dalla vecchia rosetta (ormai secca) sia la rosetta dell’anno successivo presente accanto alla vecchia.

Foto 4.jpg

Rosetta basale di Orchis italica (Luigi Torino)

Foto 5.jpg

Spiranthes spiralis in fioritura. Sono evidenti le vecchie rosette basali, ormai secche, e le nuove rosette già presenti a lato. (Luigi Torino)

La riproduzione:
una vita dedita all'inganno

Nel corso della loro storia evolutiva le orchidee hanno escogitato svariati modi per sopravvivere e propagarsi efficacemente. La riproduzione sessuata è la branca in cui la natura si è sbizzarrita in termini di varietà e complessità dei metodi utilizzati. Come già menzionato prima, il più noto, articolato e spettacolare è l’inganno sessuale; tra le specie nostrane è appannaggio del genere Ophrys, uno dei più biodiversi dell’intero panorama eurasiatico.
Ad ogni specie di Ophrys corrispondono una o più specie di impollinatori (solitamente imenotteri). I maschi di tali specie impollinatrici vengono attratti con un mix di stimoli visivi, tattili e olfattivi. I colori e i riflessi (anche in banda UV) dei fiori, la peluria densa e lunga o rada e corta, la consistenza delle superfici e soprattutto i feromoni emessi dalle Ophrys mirano ad ingannare gli insetti, che finiranno quindi per sprecare le loro energie tentando di copulare con i fiori (si parla di “pseudocopula”). I pollini aderiscono al capo dell’insetto (pseudocopula cefalica), o al suo addome (pseudocopula addominale) a seconda del verso di accoppiamento con il fiore. 

Foto 6.jpg

Pseudocopula cefalica di Megachile cf. parietina con Ophrys bertolonii ssp. bertolonii. Calabria, 2023. (Luigi Torino)

Il secondo metodo “ingannevole” di riproduzione sessuata è il cosiddetto inganno “food deceptive”: le orchidee non producono nettare ma imitano una fonte di nutrimento tramite colori, forme e odori (mimetismo batesiano). Gli impollinatori vengono attratti da questi segnali pensando di trovare un lauto pasto ma non ricevono nessuna ricompensa in cambio: le orchidee vengono invece impollinate. Non va sempre così male ai nostri piccoli amici: vi è qualche esempio di specie effettivamente nettarifere, come Anacamptis coriophora e alcune Epipactis.

Un ulteriore inganno è quello “nest deceptive”: le orchidee si fingono nidi o posti adatti per passare la notte e gli impollinatori sono tentati ad entrarci, finendo per asportare le masse polliniche durante l’uscita. L’inganno è attuato mediante segnali olfattivi e visivi (strutture florali a forma di tubo, colori scuri), a volte anche con temperature interne del fiore superiori di 1°- 3° rispetto a quella ambientale. Le principali esponenti di questa strategia sono le specie del genere Serapias, ma è da menzionare lo straordinario caso dell’Ophrys helenae, specie greca e unica tra le Ophrys a servirsi di questo tipo di strategia riproduttiva.

All’interno dei metodi di riproduzione sessuata è presente anche l’autoimpollinazione, diffusa in Ophrys apifera e nei generi Limodorum ed Epipactis. Gli ultimi due possono ricorrere anche alla cleistogamia, un particolare caso di impollinazione in cui il fiore non si apre mai e il processo riproduttivo è totalmente interno.

La riproduzione asessuata, a dire il vero non molto frequente, è presente nelle vesti dell’agamospermia (nel genere Nigritella) e della moltiplicazione vegetativa; vale a dire, nuovi rizotuberi (quindi nuovi individui) si formano nel sottosuolo a partire da quelli già esistenti. Le nuove piante saranno quindi in prossimità delle precedenti e geneticamente identiche tra di loro; tra le specie che adoperano questa tecnica vi sono le Serapias (S. lingua, S. politisii) e Ophrys bombyliflora.

Foto 7.jpg

Platanthera chlorantha nel Parco Nazionale dell’Aspromonte. Questa specie è impollinata da farfalle di vario tipo, attratte dal nettare presente nello sperone dei fiori. Calabria, giugno 2023. (Luigi Torino)

Le orchidee costituiscono quindi un gruppo estremamente complesso e variegato. I metodi per sopravvivere e moltiplicarsi sono i più raffinati dell’intero mondo vegetale e presuppongono un’evoluzione coordinata e strettamente co-dipendente con i propri impollinatori, nonché una notevole capacità di adattarsi alle criticità degli habitat in cui vivono e di colonizzarne di nuovi. Il fascino che esercitano sugli studiosi e sui semplici appassionati è ancora destinato a perdurare in un incessante susseguirsi di scoperte e aggiornamenti tassonomici riguardo questa grande e bellissima famiglia di piante.

Commenti
Share Your ThoughtsBe the first to write a comment.
bottom of page