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Monti Sibillini:

non c'è luogo senza il suo genio

di Irene Maria Bakkum

FOTOGRAFIA

25/02/2024

Monti Sibillini: non c'è luogo
senza il suo genio

Irene Maria Bakkum

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I monti Sibillini sono una creatura piuttosto giovane. Sono emersi dall’acqua solo un milione di anni fa crescendo e sviluppandosi tra variazioni climatiche, erosioni, terremoti e coabitazioni. Oggi vediamo dei monti che raccontano una storia in cui natura e geologia si intrecciano indissolubilmente con la storia degli umani.

Questa catena montuosa, che si estende tra le Marche e l’Umbria, ha un’anima di rocce calcaree che si innalzano in cime che spesso superano i 2000 metri. Le alte vette sono concatenate da altipiani, verdi valli fluviali, forcelle e passi che, nei tempi delle grandi transumanze, garantivano il passaggio di uomini e greggi. La presenza umana tra queste montagne ha contribuito largamente a declinarne l’aspetto attuale e a tesserne la complessa trama di storie e leggende. Una fitta rete sentieristica parla di uomini abituati a muoversi secondo le necessità del lavoro stagionale, mentre le praterie secondarie e la scarsa presenza di bosco ad alto fusto ci raccontano di pascoli e usi civici che, nelle zone di montagna, hanno garantito la permanenza di comunità resistenti anche durante i periodi di grande esodo verso le città. I borghi dei sibillini, seppure terribilmente segnati dalle scosse di terremoto del 2016, raccontano quindi di una civiltà umana ricca e fiorente che faceva dei doni della montagna, dall’acqua, della legna e del pascolo la sua grande ricchezza.

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(Photonica3)

Gli abitanti di queste montagne hanno sempre condiviso le ricchezze della terra con gli animali selvatici e con i grandi predatori. Le aquile reali abitano stabilmente questo specchio di cielo, le zone più inaccessibili del parco sono state una delle ultime roccaforti di resistenza del lupo appenninico forgiando relazioni con intere generazioni di pastori e cani da guardiania, l’orso marsicano oggi non è ancora considerato stanziale ma le incursioni di maschi in dispersione sono accertate da avvistamenti e fototrappole. Anche la storia del camoscio appenninico e del cervo nobile hanno origini lontane, ed oggi, grazie ad oculate reintroduzioni, godono entrambi di ottima salute ripopolando pareti rocciose, boschi e radure insieme a caprioli, cinghiali e tanti altri mammiferi e uccelli.

Non è un caso quindi che trent’anni fa venne instituito un Parco Nazionale che potesse vegliare, salvaguardare e promuovere questa propaggine di Appennino, annunciazione delle più alte vette dell’Italia centrale. Monti azzurri che fecero sognare Leopardi, alture che hanno accolto e custodito Sibille, leggende, tradizioni e culti semidimenticati. Dire Sibillini significa anche parlare di fate e profezie, misteri e natura selvaggia. Dire Sibillini significa anche aprire la porta che unisce la realtà a percezioni e ad affezioni dello spirito più sottili, ineffabili e profonde e di nuovo, quindi, non è un caso che questi luoghi siano un terreno di caccia perfetto per i fotografi di Photonica3.

Che si voglia credere o no alle leggende che popolano i Sibillini qualcosa di magico rimane. Si può anche non credere alle fate caprine che scendono dalle pendici del monte Vettore per irretire i giovani dei paesi, si può non credere che una Sibilla, profetessa bianca o strega incantatrice, abitasse il cuore della montagna, si può non credere che in fondo al lago di Pilato giaccia proprio il corpo maledetto di Ponzio Pilato ma non si può non percepire la presenza indiscutibile di un Genio, un “genius loci”, che abita e anima queste montagne.

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(Photonica3)

Nullus enim locus sine genio est” scrive il poeta Servio, “non c’è luogo senza il suo genio”. Oggi, spesso, dimentichiamo la necessità di metterci in ascolto del Genio e di perlustrare oltre il limite delle apparenze per attingere alle Essenze. Dimentichiamo che non si entra mai in un luogo da dominatori ma da invitati, e che le migliori prove di forza sono l’umiltà e l’ascolto. Abitare senza stare in ascolto è la peggiore delle catastrofi perché significa vivere un luogo che perde il suo genio e i suoi significati, un luogo che con il tempo diventa inospitale.

È la voce di questo Genio che guida i fotografi Stefano Ciocchetti, Lorenzo Lambertucci, Sergio Paparoni, Marco Gratani e Roberto Verolini. Ogni angolo di paesaggio nasconde molto più di quello che appare alla prima occhiata; l’ascolto profondo travolge e trascina ben oltre l’ottica puramente descrittiva e fenomenologica per privilegiare una ricerca intima e sensoriale, più antica e ancestrale. Proprio questa forte condivisione d’intenti insieme alla consapevolezza che fotografare può voler dire anche proteggere guidando il team di Photonica3 durante i vari progetti fotografici.

Alcuni scatti e storie meritano però una narrativa più puntuale. Un'uscita fotografica ha sempre sorte incerta, si può tornare a casa anche senza aver scattato una foto ed è per questo che la fotografia paesaggistica e naturalistica, in particolare, richiedono tanta passione e pazienza, in un continuo opporsi alla logica del “tutto e subito” per riscoprire il valore dell’attesa: “aspettare è una preghiera e la pratica dell’appostamento e dell’attenzione sono uno stile di vita. L’improbabile arriva solo se lo si sa aspettare” scrive Sylvain Tesson dopo il suo viaggio fotografico con il fotografo Vincent Munier.

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(Photonica3)

Lorenzo e Marco si erano alzati di buon mattino nella speranza di fermare la prima luce del giorno sulla neve nuova quando ecco l’improbabile: su pendii vertiginosi, due maschi di camoscio appenninico erano impegnati in un raro scontro fisico per decretare il diritto di accoppiarsi. I due animali erano completamente risucchiati dalla lotta; incessanti corse, inseguimenti turbolenti e un violento cozzare di corna rompevano il silenzio e l’equilibrio del bianco. 

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(Photonica3)

Eccoci invece con Roberto che ha invece ritrovato “Una notte stellata sul Rodano” in un tronco tagliato. Le immagini arrivano, se sappiamo vederle, e se il nostro livello di attenzione è in grado di frantumare la prima apparenza delle cose. Una passeggiata non è mai banale se occhio, cuore e pazienza sono in attività e pronti a percepire il secondo o il ritaglio di realtà in cui il genio si sta manifestando. Spesso, come è successo a Roberto, basta cambiare prospettiva, voltarci, capovolgerci o guardarci tra i piedi.

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(Photonica3)

Altro esempio d’attesa e costanza è l’incontro speciale tra Stefano ed un branco di lupi. Anche qui è la neve a fare da cornice alla scena. Dopo ore di appostamento, il maschio alpha si avvicinò abbastanza da permettere un primo piano e concedere un profondissimo scambio di occhiate in cui, anche se per un secondo, gli sguardi s’incatenarono. Nell'immobilità della scena si stavano scontrando e studiando con rispetto e curiosità due mondi separati ma complementari, l’uomo e il selvatico.

Alcune fotografie passano attraverso travagli più o meno lunghi e faticosi. Sergio si era svegliato di notte per catturare un’alba tra le cime innevate. Nonostante il presagio di insuccesso per una nebbia fittissima, Sergio accende comunque la frontale e viene ingoiato dal sentiero ghiacciato. Proprio mentre il pensiero di tornare indietro lo trafigge lo sguardo sfugge verso il cielo e per un secondo una grande stella appare appena oltre le nuvole. In cima lo aspettavano le vette affilate che galleggiavano leggere sopra un mare di schiuma.

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(Photonica3)

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