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NATURA E CONSERVAZIONE

04/02/2024

Spreco alimentare:
perchè non possiamo permettercelo

Giovanna Olivieri

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illustrazione di Victor Annibalini

Quando ero bambina, tra i miei parenti circolava un aneddoto riguardante la mia nonna materna, la quale, pur di far mangiare al figlio maschio prediletto il buon pollo che gli aveva preparato, per una settimana lo riciclò riproponendolo in tavola cucinato in almeno tre modi diversi. Non ricordo le preparazioni intermedie, ma non ho dubbi su quella finale: si trattava del guazzetto, un modo per riciclare la carne avanzata tramite un intingolo di uova sbattute e limone, che mia madre cucinava spesso dopo Pasqua per riutilizzare quel che restava dell'agnello.

Ma perché vi racconto questa storiella di lessico famigliare? Nella cultura in cui sono vissute mia nonna e mia madre, non si buttava mai niente. Allora non c'erano i petti di pollo nella confezione di polistirolo: c'erano i polli interi, spennati dai contadini, di cui non si gettavano nemmeno i maghetti (le interiora), che venivano utilizzati per fare il sugo o il ripieno. Che cosa è cambiato nel frattempo?

Secondo l'Eurostat (2021), in Europa ogni anno si sprecano 131 kg di cibo pro capite (pari a oltre 58 milioni di tonnellate), di cui più della metà, ossia 70 kg, si butta via in casa; 28 kg vengono sprecati dalle industrie di trasformazione e il resto è ripartito più o meno equamente tra agricoltura, distribuzione e ristorazione.

I dati del 2023 calcolati dall'Osservatorio Waste Watchers ci forniscono un elemento in teoria incoraggiante: rispetto all'anno precedente gli italiani hanno ridotto del 25% lo spreco alimentare. Tuttavia, la motivazione non risiede tanto in un ripensamento etico dei propri consumi o in un cambiamento negli stili di vita, bensì nel fatto che, a causa dei prezzi aumentati per via dell'inflazione seguita alla pandemia e alla guerra in Ucraina, la spesa alimentare si è ridotta. L’effetto collaterale non è trascurabile, però, specialmente per le famiglie con un potere di acquisto più basso, la riduzione della spesa si traduce nel consumo di alimenti più scadenti dal punto di vista nutrizionale. In pratica: si compra di meno (quindi si spreca meno), ma si compra cibo di qualità inferiore (quindi si mangia peggio).

Variazioni dovute agli andamenti ciclici dell'economia a parte, il problema a livello mondiale è che una parte non irrilevante delle derrate alimentari prodotte non vengono consumate. Mentre denutrizione e malnutrizione aumentano. Ma perché si spreca il cibo?

Ricordo che i miei genitori insistevano sempre affinché finissi quello che avevo nel piatto. No, non si sarebbe (e non si è) risolta la fame nel mondo se io non avessi lasciato avanzi nel mio piatto. Questo forse è però un po' il criterio che si dovrebbe seguire al supermercato: non riempire il carrello con cose che non sai se e quando riuscirai a consumare, soltanto perché c'è l’offerta 3x2.

Anni fa, durante le presentazioni dei miei libri dicevo spesso che, se chi mi ascoltava avesse dovuto allevare, uccidere, spennare e pulire un pollo prima di metterlo in forno, probabilmente di quel pollo non avrebbe buttato via niente. Questo perché l’attesa prima di poter consumare un pollo allevato dai propri pulcini è talmente lunga e così faticosa (anche psicologicamente), che non è certo paragonabile all'acquisto di pollo al supermercato. Naturalmente non è minimamente paragonabile nemmeno il sapore! Ma non è questo il punto di questo ragionamento. Il concetto che tentavo di far passare allora, e che ribadisco oggi, è che ci siamo allontanati troppo dalle origini degli alimenti che consumiamo per avere abbastanza rispetto nei loro confronti. Gettare nell'umido una pera marcia o una coscia di pollo avanzata per noi non è un problema, perché quella era una pera anonima e quel pollo era un pollo qualunque.

Rispetto a 60 anni fa, sono ormai pochi gli italiani che producono almeno in parte gli alimenti che consumano: il 36% della popolazione (Istat, 2023) vive nelle città metropolitane e circa il 40% in aree urbane o suburbane. Tra questi, solo un'esigua minoranza ha la possibilità di coltivare in proprio frutta e ortaggi e allevare animali. Tralasciando coloro che gestiscono un'azienda agricola, qualcuno di noi ha un orticello e qualche albero da frutto, qualcun altro un piccolo pollaio, ma per la maggior parte degli italiani il cibo viene dal supermercato. È coltivato o allevato, trasportato, stoccato, confezionato, sempre più spesso anche trasformato da altri. Non ne abbiamo conoscenza, non ne abbiamo consapevolezza.

Molto spesso la vita frenetica non ci dà nemmeno il tempo di cucinare. Deleghiamo la trasformazione degli alimenti ad altri. Non solo non ci facciamo il pane, i biscotti, il minestrone e il pollo arrosto, ma molti di noi prendono le pietanze pronte al reparto gastronomia (persino le patate cotte e le bietole lessate), o cenano con pizza congelata, fagioli in scatola e insalata in busta,  facendosi consegnare il take-away dal delivery. E pensare che, qualche decina di migliaia di anni fa, è stata proprio la cottura dei cibi uno dei fattori determinanti della nostra evoluzione come specie! E quando sulla tavola ci sono degli avanzi, o in frigorifero qualche alimento scade, quando gli ortaggi o la frutta non sono più tanto freschi, non possiamo far altro che gettarli nell'umido.

Un tempo, quando in ogni famiglia di campagna esisteva l'economia circolare, i pochi avanzi finivano nel pastone dei polli e dei maiali e venivano in un certo senso riciclati. Oggi, al massimo, ne facciamo humus.

Abbiamo visto alcuni motivi che ci inducono a buttare cibo ancora commestibile nella spazzatura; questi danno conto dello spreco alimentare domestico che rappresenta la fetta più cospicua del totale. Ma sprechi avvengono anche a livello di cucina di comunità, nelle mense scolastiche, aziendali, o nelle strutture per anziani; altri riguardano la ristorazione, anche se, per fortuna, si è ormai diffusa l'abitudine di farsi confezionare e portare a casa quanto è stato ordinato e pagato, ma non consumato. Vi sono sprechi a livello di produzione primaria che riguardano agricoltori e allevatori e sprechi nelle industrie di trasformazione. E poi vi sono sprechi anche nelle catene di distribuzione, perché più ampia è la scelta di prodotti da tenere contemporaneamente in esposizione, soprattutto per quanto riguarda i cibi freschi, e più probabilità ci sono che alcuni alimenti rimangano invenduti e si deteriorino. Vi sono, poi, i prodotti che vengono ritirati dagli scaffali diversi giorni prima della scadenza per non incorrere nelle multe e quelli che non possono essere venduti per confezioni difettose, anche se sono integri e perfettamente commestibili. Negli ultimi anni, sono stati fatti passi avanti in questo senso tramite il coinvolgimento di associazioni e cooperative che ritirano gli alimenti in scadenza o non vendibili e li distribuiscono direttamente a chi ne ha bisogno. E così, per fortuna, sono molti meno i cibi che vanno al macero. Tuttavia, restano quei 131 chilogrammi che ogni cittadino dell'Unione Europea getta nella spazzatura ogni anno.

Qual è il peso, a livello ambientale, delle produzioni alimentari? Agricoltura e allevamento sono responsabili di circa il 20% delle emissioni di gas climalteranti. A questo vanno aggiunti i costi ambientali dei trasporti, dello stoccaggio, della trasformazione dei prodotti e del mantenimento delle strutture di vendita. Ma non è tutto qui. Per calcolare come si deve l'impronta ecologica della nostra alimentazione, dobbiamo anche considerare il consumo di suolo e di acqua, la diversa destinazione d'uso del suolo (per esempio allevamenti, coltivazioni di soia, piantagioni di palma da olio), nonché il consumo di materie prime non rinnovabili indispensabili per la produzione di fertilizzanti, erbicidi e pesticidi di sintesi. Già questi costi ambientali sarebbero sufficienti a farci concludere che c'è qualcosa che non va nelle nostre produzioni alimentari. Ma se pensiamo che per produrre, trasportare, refrigerare e distribuire il cibo che finisce nella spazzatura, abbiamo inutilmente consumato suolo, acqua, fertilizzanti, fitofarmaci, energia, carburanti, risorse umane ed abbiamo inutilmente emesso gas serra, immesso inquinanti nei terreni e nelle acque, violato i diritti di innumerevoli lavoratori e in qualche caso abbiamo anche inutilmente sfruttato immigrati e bambini, non possiamo che concludere che lo spreco alimentare non è semplicemente immorale: è un vero e proprio controsenso.

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I dati dello spreco alimentare nel 2021 (fonte: Eurostat)

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